Spiritualità benedettina

Leggendo gli scritti di madre Mectide de Bar si rimane stupiti nel constatare come lo studio di tali testi, fino ad oggi inediti, ci aiuti a comprendere più profondamente la spiritualità di San Benedetto. Essi formano la base della vita monastica e ci fanno constatare con gioia come l’insegnamento di M. Mectilde si conservi integralmente fedele a quello del Fondatore, San Benedetto.

È evidente che il principio primo della spiritualità di M. Mectilde sia quello di lasciare tutto per entrare in comunione con la vita del Cristo risorto; tuttavia lo stile benedettino vi è presente in un modo ben chiaramente manifesto.

Un Abate Benedettino ha detto:

«L’opera di San Benedetto risiede in una triplice Saggezza:

una Saggezza umana,

una Saggezza cristiana,

una Saggezza mistica».

questa espressione illumini molto bene quanto sto per dire.

Quale Saggezza umana si richiede per vivere insieme sotto una Regola ed un Abate! È la saggezza di vita che ci viene offerta da tutta l’opera di San Benedetto.

Sul suo insegnamento Madre Mectilde de Bar ha voluto che le sue Comunità fossero governate da una Priora, eleggibile ogni tre anni, il cui compito fosse quello di vigilare sull’osservanza della S. Regola; ma, al fine di salvaguardare ogni deviazione possibile, alla Priora, M. Mectilde non conferisce il titolo di Abbadessa, che invece da in senso assoluto e perpetuo alla SS. Vergine Maria, sotto la cui protezione pone l’Istituto.

Per garantire poi il buon equilibrio di questa vita in comune, S. Benedetto ha inserito nella sua Regola, oltre al dovere della preghiera, anche la legge del lavoro: «ora et labora». È una cosa normale guadagnarsi il sostentamento con il proprio lavoro; tuttavia il lavoro comunitario deve anche cementare l’unione dei cuori, per cui è previsto il lavoro manuale, nella sua grande varietà, in uno scambio fraterno vicendevole per tutti i servizi necessari alla vita della comunità, anche i più umili.

Madre Mectilde, nelle sue Costituzioni, sottolinea questa dimensione del lavoro dicendo:

«La Madre Priora e la Maestra delle Novizie avranno cura di dare a ciascuna suora un lavoro proporzionato alle sue capacità e forze, regolandolo in modo che nessuna abbia a rimanere oziosa».

«Le Priore che saranno animate da vero zelo e affetto per la S. Regola cercheranno di fare il possibile perché tutte le prestazioni necessarie alla vita di Comunità si svolgano nell’ambito del monastero, come viene espressamente comandato da San Benedetto».

Madre Mectilde, come San Benedetto, cerca di sviluppare tra le sue figlie questa armonia di vita fraterna, che è la caratteristica prima dello spirito benedettino.

Ma questo ideale puramente umano non avrebbe potuto sostenersi da solo; occorreva trasformarlo in Saggezza cristiana ed elevarlo così a livello di lode perpetua al Signore. In tal modo Madre Mectilde, come San Benedetto, cerca di trasformare tutta la sua vita in un’offerta. Esiste, infatti, anche il modo di lavorare pregando; il lavoro fatto bene, con tutta l’attenzione richiesta, diventa una vera preghiera, e dà all’anima un’attitudine che si avvicina a quella della preghiera contemplativa. In tal modo la preghiera diventa continua.

«Quale consolazione è quella di poter dire ad ogni momento: noi possiamo adorare il Santissimo Sacramento! Se si è occupati in un lavoro, non è necessario andare in Chiesa per fare l’adorazione, ma è sufficiente elevare il nostro cuore verso di Lui».

«Le mura non ci impediscono di vederci e di sentirci» (Conferenza del 21/11/1663-Festa della Presentazione di Maria SS. al Tempio).

È evidente che tale stato d’animo si nutre e si sviluppa con atti di pietà, con la lectio divina, la meditazione e la preghiera liturgica, celebrata coralmente. Quest’ultima è carica di una grazia singolare di comunione. Il nostro santo Padre Benedetto esige che tale sforzo spirituale sia fondato sull’obbedienza e, a questo principio, riconduce tutta una parte della sua ascesi. Obbedire è mettere in pratica. Madre Mectilde dice:

«Non cercate ragioni per dispensarvi dall’obbedienza. Leggete spesso la santa Regola per imprimerne lo spirito nei vostri cuori; vi troverete tutto quanto è necessario per santificarvi, se sarete fedeli a seguire le sue massime. Le inferme, benché siano dispensate dalle austerità, non lo sono affatto dal tendere, come le altre, alla perfezione richiesta dalla stessa Regola. Per farvi sante è sufficiente la perfetta osservanza delle austerità e delle pratiche fissate dalla Regola: non cercate altro» (Dai «Trattenimenti familiari»).

«Tutta la sostanza della nostra santa Regola sta nell’obbedienza: ciò non mi stupisce poiché il nostro beato Padre San Benedetto era ricolmo dello spirito di tutti i giusti, cioè di Gesù Cristo, modello di perfetta obbedienza che professò fin dal momento della sua incarnazione» (Capitolo 1662).

La priorità conferita da San Benedetto all’obbedienza si rivela così il vero fondamento del nostro culto all’Eucaristia.

Ecco due altri aspetti della Regola benedettina: il silenzio e l’umiltà.

Solo nel silenzio si può ascoltare la Parola di Dio, e questo occupa un grande spazio nell’intuizione mectildiana. Sono le sue parole:

«Se le nostre suore non saranno fedeli al silenzio, non conserveranno mai né la grazia, né la santità ed il vero spirito dell’Istituto. In ogni occasione esse devono manifestare l’amore ed il rispetto che portano al silenzio, sia per rapporto a Gesù Cristo, sia per obbedienza alla santa Regola» («Giornata Religiosa»).

Quanto all’umiltà, non è una virtù connaturale all’uomo. Per essere umili bisogna accettare tutte le situazioni che ci vengono offerte. Nella misura in cui si acconsente, in cui si entra profondamente nella sofferenza, in cui si accettano le difficoltà, si apre per noi una porta sull’al di là. Ed è a questa condizione che noi saremo monache. Madre Mectilde non tralascerà di esortare le sue figlie:

«Sforzatevi, sorelle mie, di vivere in conformità alla virtù dell’umiltà, che per vocazione dobbiamo vivere nella sua più alta perfezione, come ci viene richiesto dal nostro santo Patriarca nella nostra santa Regola.

Il profeta dice: “Non sono andato in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze” (sal. 130). Lavoriamo, Sorelle, a conoscerci. Sarà questo il mezzo che ci farà stare al nostro posto… E se siamo qualche cosa o abbiamo qualcosa di buono, riconosciamo che esso non viene da noi, ma da Dio, che ce ne ha fatto la grazia, e rendiamolo a Lui, che ne è il Principio» (Trattenimenti familiari – 1687).

«Giammai un’anima potrà sperimentare quanto Dio è soave e delizioso, se non discende nella vera conoscenza di se stessa e nella santa umiltà. Dio, infatti, non si comunica ai superbi, anzi si rende inaccessibile al loro spirito, ma riposa, invece, solo nei cuori umili» (Scritto alla Contessa di Châteauvieux ).

* * *

Ci resta ora da ricordare la presenza della Saggezza mistica, cioè la saggezza dell’amore. Questa non è tanto facile. San Benedetto ne parla solo al termine della sua Regola. Egli è troppo realista per proporla subito all’inizio. La stessa S. Teresa del Bambino Gesù confessava, qualche mese prima di morire: «solo oggi ho scoperto la carità». San Benedetto ci assicura che la presenza del Cristo nei fratelli, negli ammalati, negli ospiti la si scopre a poco a poco. Tutto ciò è dono gratuito di Dio. E Madre Mectilde annota che:

«Il Corpo di Gesù Cristo è la sua Chiesa, di cui noi siamo le membra. L’Eterno Padre ci ha unti della stessa unzione con cui ha unto suo Figlio ed il nostro Battesimo è il Battesimo di Gesù Cristo. Col Battesimo noi siamo talmente trasformate in Lui che non dobbiamo più apparire, ma dobbiamo essere completamente immerse e nascoste in Gesù Cristo».

«Convinte di questa verità, non dovete mai considerarvi umanamente… Nelle vostre Sorelle dovete vedere solo Gesù Cristo, considerarle come Sue predilette, in cui si compiace, destinate a possederLo eternamente nella gloria. Comportandovi in tal modo, nutrirete stima e carità le une verso le altre. Ma a tanto non giungerete coi soli mezzi umani» (Conferenza dell’11 maggio 1695).

«In questa casa non ci deve essere altra vita o altro cuore che la vita e il cuore di Gesù Cristo… In ogni cosa non dobbiamo vedere altri che Gesù Cristo: è Lui il nostro esempio, il nostro modello. Imitiamone la dolcezza, l’accondiscendenza e la pazienza verso il prossimo» (Capitolo).

«Vi scongiuro ed esorto con tutte le mie forze di conservare l’unione e la carità, perché, sorelle mie, se rimanete nell’amore e vi amate vicendevolmente, non sarete mai abbandonate da Nostro Signore. Egli farà scendere su di voi le sue abbondanti benedizioni e vi darà un aiuto di molto superiore alle vostre aspettative» (Trattenimenti familiari- 20.4.1695).

«Desideriamo la pace che Gesù Cristo dà oggi agli Apostoli: frutto della sua vita promessa. Questa pace è un tesoro del Paradiso e non la si trova affatto sulla terra; è la presenza di Gesù che l’opera…Essa è il sostegno dell’anima. Dio contempla Se stesso nel fondo dell’ anima che possiede questa tranquillità, le dona il suo Spirito, il suo Amore.

È una grazia meravigliosa possedere questa pace, che calma i nostri turbamenti interiori, che scaccia il timore e che mantiene l’anima abbandonata semplicemente e amorosamente all’azione divina…

Cos’è la pace se non la presenza e la dimora di Gesù nei nostri cuori? Lo Spirito Santo pone la sua dimora in luoghi di pace. Il Profeta stesso ce lo assicura, quando dice nel salmo “in pace locus eius” . Se possediamo la pace, lo Spirito Santo ci manderà l’Amore divino» (Conferenza per il martedì di Pasqua – 1665).

Tali prospettive sorpassano la semplice saggezza cristiana e suppongono in noi una penetrazione di saggezza mistica. È proprio questo l’ideale a cui tende San Benedetto; ma solo Dio può realizzarlo nell’anima che si abbandona alla sua azione divina. E Madre Mectilde esorta appunto le sue figlie a vivere questo abbandono:

«Siate fedeli a vivere alla presenza di Dio, senza scoraggiarvi per il timore di non potere fare nulla nell’orazione. Gesù Cristo vive in noi e la nostra azione è semplicemente quella di aderire a Lui in umiltà e semplicità di cuore e di spirito. Non temete di stare senza far nulla alla presenza di Dio, perché Dio non vuole null’altro da noi che il silenzio e l’annientamento».

«Voi farete sempre molto quando vi abbandonerete senza riserva alla sua onnipotenza. Siate fedeli a questo punto Non affliggetevi per le distrazioni, lasciatele passare e restate umilmente ai piedi di Gesù, stimandovi indegne di queste grazie» (Lettera a Madre Marie de Jésus Chopinel – Caen, 24 maggio 1689).

«Il nostro Santo legislatore, che era un uomo di preghiera, ordina ai suoi discepoli di applicarsi a questo esercizio divino con purezza di cuore e lacrime di compunzione, sì che la preghiera fatta m comune sia assolutamente breve, a meno che qualcuno sia spinto a protrarla per una speciale ispirazione dello Spirito Santo che si comunica a chi gli aggrada» (Cerimoniale).

È nella nostra impotenza che Dio distrugge in noi ogni traccia d’amor proprio. È sufficiente leggere il volume Catherine de Bar à l’écoute de Saint Benoît per costatare come Madre Mectilde ama e vuole aiutare le sue figlie a praticare la Regola del Santo Patriarca.

Prendendo congedo dalle figlie di Rouen, che era venuta a visitare ed incoraggiare per la terza volta, lasciava loro una lettera da leggersi il giorno dopo la sua partenza. Questa lettera suona come un testamento e richiama irresistibilmente il ricordo di Saint-Wandrille, che, morendo, faceva ai suoi monaci le ultime raccomandazioni:

«Figlie mie, mettete una particolare attenzione nell’attendere ai vostri doveri e a tutte le osservanze con gaudio di Spirito Santo, non avendo di mira che il solo beneplacito di Dio.

Imparate a stabilirvi nel bene, nella virtù, nel silenzio, nell’obbedienza, nell’umiltà, nella dolcezza, nella condiscendenza e, soprattutto, a mai contestarvi vicendevolmente. Vivete tutte in una santa pace, senza alcuna divisione, affinché si possa dire di tutte voi che siete “un solo corpo ed un’anima sola”».

Madre Mectilde invita a vivere la Santa Regola come il mezzo più idoneo per praticare ciò che ella insegna, che altro non è che la stessa Regola ed unicamente questa. Lo spogliamento totale si opera con l’osservanza della Regola che fa del monaco un uomo spoglio del suo corpo e della sua anima, così completamente povero da non possedere nulla, neanche il proprio corpo; la sua vita è regolata dal giudizio altrui, non fa nulla senza il permesso, cosciente che la sua miseria personale lo situa per sempre all’ultimo posto, immergendolo nel silenzio interiore ed esteriore. Questo spogliamente è il colpo d’ala che ottiene la grazia del suo sbocciare alla risurrezione.

«Man mano che si progredisce nella vita religiosa e nella Fede, il cuore si dilata, e si corre sulla via dei comandamenti divini nell’indicibile dolcezza dell’amore» (Prologo S. Regola).

È appunto il cammino pasquale che Madre Mectilde apre alle sue figlie:

«Bisogna morire, per risorgere.

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